La porta della camera d’albergo era di quelle pesanti, che scivolano dietro di te e rallentano automaticamente prima di chiudersi con un leggero clic, quindi no, non aveva potuto sbatterla. Ma l’intenzione l’aveva avuta e doveva essere stata chiara anche a lui.

Fuori, nel corridoio, l’aveva investita la luce accecante di una giornata perfetta e il caldo improvviso che il condizionatore non riusciva a sopraffare. Si era infilata nell’ascensore di corsa, quasi con la paura che lui la raggiungesse, la pregasse, la costringesse a tornare indietro.

Era la solita storia, sei lei diceva bianco, lui voleva nero. Mai una volta che fossero d’accordo su una cosa, che avessero un desiderio, un programma comune.

Ma la furia che provava di fronte a lui, raggomitolato sotto il piumone nella stanza gelida, buia, che sembrava immersa  in una dimensione spazio temporale dove l’estate non esisteva e il mare nemmeno, era svanita in un attimo, evaporata alla vista del sole che l’aspettava.

La hall dell’albergo era stranamente silenziosa, del resto non era il tipico hotel da famiglia in vacanza quello che avevano scelto, naturalmente. Era uscita per strada, speranzosa, e qui il suo occhio attento era riuscito a cogliere qualche segno di eccitazione: il profumo di arrosto da una finestra aperta, una famiglia intenta a caricare sedie pieghevoli e frigo portatili su una macchina già stracarica, il portone spalancato sull’ingresso scuro di una chiesa… lei assaporava tutto, e ancora di più perché lui non c’era. Era come se dicesse a lui assente, ‘ecco, guarda cosa ti perdi, peggio per te’.

Ma era stato quando era arrivata in spiaggia che l’atmosfera nazionalpopolare della festa che lui tanto odiava l’aveva colpita in pieno. Con un gavettone in perfetto stile: un palloncino pieno d’acqua fino al limite, che era esploso al primo contatto con il suo corpo. Era rimasta interdetta e il primo moto era stato di sorpresa, e di rabbia, se doveva essere sincera con se stessa. Lo schiaffo violento del gavettone l’aveva colpita su un fianco, l’abbraccio umido dell’acqua le aveva appiccicato i vestiti addosso, il suo primo pensiero era stato per il telefono, ma mentre si girava inviperita verso la direzione del lancio, aveva pensato con sollievo che era al sicuro nella borsa.

Si era aspettata di trovarsi davanti un ragazzino imberbe, con l’espressione furbetta e la risata sguaiata, ma il rimprovero che stava formulando confusamente nella sua testa era morto prima di nascere quando aveva realizzato che il suo aggressore era un uomo più o meno della sua età.

Gli occhi ridenti, una fossetta impertinente a lato della bocca, il corpo abbronzato e un po’ nodoso: il perfetto latin lover da Riviera. Non era riuscita a trattenere un gesto, come a dire ‘Ma ti pare?!’ e non aveva potuto fare a meno di sentire il suo sguardo scivolare lungo il vestito che il gavettone le aveva avvolto così bene intorno al corpo, risalire verso la scollatura, infine piantarsi nei suoi occhi. ‘Buon Ferragosto’, aveva detto lui alzando una mano in segno di scusa, mentre il sorriso non abbandonava il suo sguardo. E anche lei aveva sorriso e si era avviata lungo la spiaggia ancheggiando un po’ più del necessario, con gli occhi di lui, ci poteva giurare, incollati sul sedere.

Aveva raggiunto il lettino in riva al mare, tirato fuori le riviste dalla borsa di paglia, si era ricoperta di crema e si era sdraiata sotto i raggi carezzevoli del sole, ben consapevole che l’atmosfera intorno a lei si faceva sempre più effervescente. La spiaggia si riempiva a vista d’occhio ed erano sempre di più le persone che arrivavano in riva al mare fradicie come lei. Anche le grida e le risate, all’inizio contenute, aumentavano costantemente di volume man mano che il sole saliva più alto nel cielo.

Ogni tanto si sollevava a cercare il latin lover tra la folla, ma il suo sguardo si perdeva tra le file di ombrelloni tutti uguali, scivolava sulla carne nuda delle persone che affollavano la spiaggia e a un certo punto si era rassegnata, aveva infilato le cuffie e chiuso gli occhi nella speranza di non sentire il clamore crescente mentre una vocina che non voleva ascoltare, dentro di sé, iniziava a suggerire che forse il suo fidanzato poteva anche aver avuto ragione. Che Ferragosto non era una giornata da passare al mare, in mezzo a tutta quella gente impazzita. Aveva sparato il volume al massimo, per non sentire le voci esterne e interne, e si era leggermente assopita.

Era stata la frescura di un’ombra improvvisa sul corpo a farle aprire gli occhi. E la prima cosa che aveva visto era stato lo sguardo ridente: il suo aggressore era proteso sopra di lei ed era pronto a rovesciarle un secchiello pieno d’acqua addosso.  Lei si era tolta gli auricolari e sollevata sui gomiti, consapevole che la presenza del telefono sull’asciugamano le dava qualche attimo di negoziazione e che in quel modo gli addominali affioravano sulla sua pancia e i seni  prendevano una forma più piena.

‘Non sei un po’ troppo asciutta?’ le aveva detto lui, forse con una leggera allusione nella voce. Lei aveva gettato una rapida occhiata intorno e si era resa conto che nel frattempo la situazione era degenerata.

Era l’ora di pranzo e mentre anziani e signore si erano rifugiati nei bar o erano tornati al fresco delle proprie case, la spiaggia si era trasformata in un campo di battaglia. Inutile fingere oltre, aveva pensato.

Con studiata lentezza si era sollevata a sedere per avvolgere i fili degli auricolari intorno al telefono (lui si era leggermente spostato ma il suo sguardo, ne era sicura, non si era staccato da lei), lo aveva messo in borsa insieme alle riviste e piazzato tutto a distanza di sicurezza. Poi, con un’occhiata di sfida si era allungata di nuovo sul lettino, sollevando le braccia oltre la testa.

Lui era rimasto un attimo sospeso, a guardarla così, distesa, languida sotto di lui, un guizzo aveva attraversato il suo sguardo e con cura meticolosa aveva rovesciato l’acqua su di lei, muovendo il secchiello in modo che nessuna parte del suo corpo restasse asciutta.

Erano rimasti a guardarsi, lei distesa, bagnata, lui con il secchiello vuoto in mano. Poi lui era corso via con uno scatto elastico, lasciando cadere il secchiello che lei aveva raccolto prontamente prima di mettersi a rincorrerlo.

E in men che non si dica si erano ritrovati in mezzo alla mischia, tra gli ultimi ritardatari che si allontanavano in tutta fretta, biascicando proteste poco convinte, e ombrelloni e lettini che venivano rovesciati per trasformarsi in ripari improvvisati. Era una guerra senza quartiere, in cui tutti bagnavano tutti, con tutto: pistole ad acqua, palloncini, secchielli, secchi.

Lei si muoveva veloce, veniva colpita e colpiva, correva alla fontana e al mare a ricaricare le munizioni, e lo sapeva che i suoi muscoli si tendevano sotto la pelle abbronzata, che i capelli bagnati disegnavano geometrie sinuose sul suo corpo, che i capezzoli eccitati erano ben visibili sotto il costume fradicio. Lui era nella mischia, a volte si colpivano a vicenda, a volte si perdevano, a volte miravano un obiettivo comune, ma sempre quando si incrociavano, nemici o alleati, non potevano fare a meno di ridere tra di loro, di mangiarsi con gli occhi.

Poi pian piano, il campo di battaglia si era spostato verso la parte alta della spiaggia, tra le file delle cabine di legno che offrivano un riparo ben più  consistente, non solo per proteggersi, ma soprattutto per nascondersi. E lì era cominciata una caccia ben più eccitante, una specie di nascondino che si era rarefatto sempre di più, finché alla fine era risultato ovvio a entrambi che quello era un gioco tra di loro, che non importava più nulla di tutto il resto.

Lei si era sentita il cuore in gola mentre circumnavigava una cabina posta al termine della fila, la pistola ad acqua ben carica tra le mani, pronta a vedersi guizzare lui davanti da un momento all’altro.  Come in un film di Hitchcock, la pedana davanti alle cabine le era sembrata stranamente sgombra.

Si era fatta avanti lentamente, appiattendosi contro il legno, per poi lanciarsi, armi in pugno, nello spazio vuoto tra una cabina e l’altra e il cuore le si era fermato un attimo in gola quando l’aveva trovato completamente libero. Non c’era traccia di lui. ‘Sarà al prossimo varco’, aveva pensato e aveva ripreso a muoversi, uno, due, tre passi…

Si era sentita afferrare da dietro inaspettatamente e non era riuscita a trattenere un grido di sorpresa che era passato assolutamente inosservato nella bolgia ferragostana, mentre lui la spingeva dentro una cabina e chiudeva la porta veloce. Erano rimasti un attimo a guardarsi senza vedersi nell’improvvisa penombra, senza fiato nell’improvvisa calma. Nel silenzio rotto solo dai loro respiri, si era sentito il rumore della pistola ad acqua che lei aveva lasciato cadere.

Come obbedendo a un ordine, si erano lanciati l’uno contro l’altra. Lei lo aveva placcato contro il muro con tutto il suo peso e aveva iniziato a baciarlo selvaggiamente, lui aveva infilato mani frenetiche sotto il suo bikini umido. Lo aveva sollevato sopra i seni turgidi e si era piegato per leccarli. Lei aveva iniziato a gemere, allora lui l’aveva spinta contro la parete della cabina, le aveva messo una mano sulla bocca, ‘Shhhh!’ aveva sussurrato. Per tutta risposta lei aveva aperto le labbra sotto la sua stretta e gli aveva dato un morso, piccolo e improvviso, che lo aveva fatto sobbalzare, più per la sorpresa che per il dolore. Poi, approfittando del suo smarrimento, l’aveva schiacciato di nuovo contro la parete, aveva tirato fuori il suo sesso e sollevato una gamba contro il suo corpo, mentre con le mani lo guidava dentro di sé. Lui aveva afferrato la sua coscia e si era spinto con violenza dentro di lei. E avevano iniziato a far l’amore così, con lei che si aggrappava ai ganci per appendere i vestiti per resistere ai suoi assalti. Poi lui si era ritratto bruscamente, strappandole un gemito di dolore, l’aveva girata e spinta contro il muro, le aveva tirato su una gamba e si era infilato di nuovo dentro di lei e questa volta era deciso ad andare fino in fondo, perché le aveva messo di nuovo una mano sulla bocca mentre lei mugolava di piacere contro le sue dita ma non lo mordeva più. E la prima volta era stata così, violenta e un po’ selvaggia.

Si erano adagiati esausti sul pavimento un po’ insabbiato della cabina, come due quindicenni alla prima esperienza e, come un quindicenne premuroso, lui aveva disteso un materassino per farla stare più comoda e si erano assopiti.

Quando si erano risvegliati, nudi e abbracciati, lui aveva affondato di nuovo il viso nel suo sesso e poi l’aveva fatta vibrare di piacere con le dita di una mano, mentre le infilava le altre in bocca. E, dopo aver goduto, lei si era seduta sopra di lui e aveva iniziato a muoversi finché non lo aveva sentito duro e lo aveva cavalcato con sapienza, e stavolta si erano tappati la bocca a vicenda.

Quando finalmente avevano deciso di uscire, la sabbia era umida e il sole cominciava a tramontare sul mare. In spiaggia era rimasta poca gente, tutti se n’erano andati ai loro aperitivi, alle loro cene, alle feste. E lei aveva pensato che, ecco, adesso era proprio il momento di tornare dal suo fidanzato, nella stanza fresca dell’albergo, farsi una doccia per togliersi di dosso il sale e il sapore dell’altro e poi fare l’amore di nuovo. Tra lenzuola pulite.

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