LELO_VOLONTE_Educazione sessuale negli anni Venti

Basi per un’educazione sessuale degli anni ’20

Questo articolo è stato scritto da Lucrezia Marino, psicologa, psicoterapeuta esperta in sessuologia, estremamente attenta alle questioni di parità di genere e di gestione della diversità, e curiosa sperimentatrice con le nuove forme di divulgazione. Ci racconta come dovrebbe essere, a suo parere, un’educazione sessuale adeguata ai nostri tempi. Buona lettura!

Prima di ogni altra cosa chiamiamola col giusto nome: educazione sessuale e affettiva. Il sesso non è pura meccanica e le implicazioni affettive e relazionali sono imprescindibili, anche nei rapporti più fugaci.

E sì, siamo negli anni ’20, e a me che sono una millennial fanno pensare agli anni ’20 del Novecento. Però i tempi sono maturi e così dovrebbe essere la nostra emancipazione sessuale.

Ma come deve essere l’educazione sessuale e affettiva, affinché l’emancipazione sia davvero matura o almeno possibile? Ecco una lista che include le caratteristiche a mio parere più importanti:

1. Deve essere inclusiva

L’educazione che abbiamo ricevuto, e qui parlo ancora da millennial, è eteronormativa, ovvero si basa sul concetto che l’eterosessualità sia la norma. La coppia etero, meglio se procreativa, ovviamente bianca, benestante, abile e longilinea, è lo standard a cui aspirare e da cui eventualmente differenziarsi. Senza esagerare però. E non senza conseguenze.

Nemmeno i più alti professoroni sono stati capaci di far passare messaggi inclusivi. Neppure quelli che avevano tutte le buone intenzioni di farlo, perché hanno comunque continuato a usare termini non inclusivi come “rapporto completo”, “preliminari” o “verginità”, che proprio ed esclusivamente a quell’universo fanno riferimento. Se è il coito a rappresentare il centro del nostro linguaggio, e quindi di tutti i nostri ragionamenti, va da sé che tutte le altre modalità di vivere la sessualità siano posizionate su gradini più bassi.

Ecco che abbiamo delineato il primo punto fondamentale: l’inclusività, che non è da intendere come facciata, come quella che serve a fare marketing e ad apparire migliori. Essere inclusivi vuol dire riconoscere che fino a questo momento c’è stato un gruppo privilegiato, in questo caso i rapporti eterosessuali, e che questo gruppo deve essere allargato, per includere tutte le diversità. Pertanto, una educazione sessuale affettiva che si rispetti poggia i suoi principi su equità di genere, autodeterminazione e accettazione di tutte le unicità.

2. Deve essere basata sulla ricerca del piacere

Educare al piacere non vuol dire educare alla soddisfazione immediata di bisogni data dall’incapacità di tollerare le frustrazioni.

Educare al piacere vuol dire perseguire ciò che ci fa star bene, al di là di preconcetti morali obsoleti e di una società che ci vuole sempre e comunque performanti. La controcultura da proporre attraverso l’educazione sessuale e affettiva è la ricerca del piacere, libera e personale.

Gran parte delle disfunzioni sessuali è causata dall’idea interiorizzata di dover performare. Ci hanno cresciuti a suon di “prima il dovere e poi il piacere”, parole figlie del modello capitalista della società della performance, in cui il perseguimento del piacere viene considerato un vezzo peccaminoso a cui abbandonarsi solo in rarissimi casi, e solo se si è raggiunto uno status socio-economico elevato. E se invece fossimo persone soddisfatte, capaci di concedersi i piaceri della vita e di goderne? A me la prospettiva appare migliore.

 3. Deve essere consensuale

L’incontro con l’altr*, quale che sia il tipo di relazione, deve avvenire nel totale rispetto reciproco, condizione che può verificarsi solo se c’è consenso.

La sessualità senza consenso è violenza. E ci sono troppi casi in cui manifestazioni verbali o comportamentali vengono scambiate per consenso, quando non lo sono affatto.

Riconoscerlo è più facile di quello che si crede: deve essere esplicito e le persone coinvolte devono essere in posizione paritaria. Devono inoltre essere in grado di intendere e di volere, avere l’età prevista per poter esprimere consenso, il quale deve essere revocabile, in qualsiasi momento.

Ci sono molti casi in cui il consenso non può essere considerato valido, come ad esempio quando un soggetto coinvolto è in una posizione di subordinazione oppure è in stato confusionale.

4. Deve essere ‘science based’

Le informazioni devono essere science based, cioè basate sui dati più aggiornati che possiamo ricavare dalla ricerca scientifica. Possiamo farci un’opinione su tutto, ma le opinioni personali non possono e non devono avere lo stesso valore di quelle della comunità scientifica.

5. Deve includere tecnologie e social media

Le nuove tecnologie non sono solo mezzi attraverso i quali veicolare informazioni. Sono strumenti con i quali entriamo in relazione con altri esseri umani e creiamo nuovi mondi e modi di stare in relazione e vivere la sessualità. Solo qualche anno fa non sapevamo cosa fossero il sexting, le dating app, gli haters, il revenge porn, solo per citarne alcuni. Per questo motivo l’educazione sessuale e affettiva degli anni ’20 deve essere aggiornata, quindi conoscere e usare un linguaggio al passo con i tempi.

6. Deve essere precoce ed esplicita

L’educazione sessuale e affettiva è un processo che dura tutta la vita. Deve essere insegnata già in età precoce, nel rispetto della fase di sviluppo dei nostri interlocutori. Per esplicita intendo che deve essere parlata, raccontata, devono passare messaggi chiari. Generazioni di genitori si sono illuse che non parlare di sessualità fosse una forma di protezione nei confronti dei propri figli, considerati sempre troppo piccoli per potersi approcciare a discorsi sul sesso. Ma si sono illusi perché tutto è comunicazione. Anche quando non parliamo stiamo comunicando qualcosa, lasciando però in questo modo una bella fetta di libera interpretazione ai destinatari del messaggio. Non parlare apertamente di sessualità comunica che è meglio non farlo, che non sta bene, che è proibito. E sui silenzi è facile inserire aggiunte personali come pregiudizi e ritagli di “cose sulla sessualità” che abbiamo più o meno capito, un po’ dagli amici, un po’ dai media e un po’ da quei corsi in cui ci viene insegnato come non rimanere incinta.

Tutti noi abbiamo ricevuto un’educazione sessuale affettiva, che sia stata diretta o indiretta. Quando mamma e papà facevano pace dopo una brutta litigata. Quando si baciavano, oppure quando non si baciavano affatto, in nessuna circostanza. Quando avevano rapporti sessuali anche se noi eravamo nella stessa stanza. O quando la sessualità era completamente taciuta e ci siamo chiesti in che modo siamo venuti al mondo se mamma e papà non fanno “certe cose”.

Siamo ormai negli anni ’20 del secondo millennio, pertanto vale la pena avere un maggiore controllo su quale messaggio stiamo passando, su cosa vorremmo che le nuove generazioni sapessero. E questo prevede una sola e grande cosa: par-la-re! (ed educare le famiglie a farlo).

7. Deve essere ‘sex positive’

Quando parliamo di “sex positivity” ci riferiamo ad un movimento femminista che, a partire dagli anni ’60 con la rivoluzione sessuale e il movimento “free love”, è diventato sempre più popolare. Il movimento ha riguardato soprattutto la liberazione sessuale delle donne, afflitte maggiormente dal modello restrittivo e patriarcale che da sempre voleva controllarne la sessualità, di fatto censurandola. Oggi sappiamo quanto gli stereotipi di genere, sebbene in maniera diversa per uomini e donne, abbiano contribuito a delineare i “sexual script”, cioè le aspettative riguardo alla sessualità femminile e maschile.

La rigidità e i limiti dei sexual script sono alla base di molteplici problematiche e hanno contribuito a mantenere i tabù, che tutti conosciamo, legati alla sessualità. Il movimento sex positive vuole liberarci da tutto questo e propone una visione della sessualità positiva, mettendo in luce i benefici che possiamo trarre da una sessualità libera e consapevole. Anche gli educatori e le educatrici in ambito sessuale, abbracciando il punto di vista sex positive, hanno la possibilità di divulgare un modello non più basato solo su prevenzione e rischi, ma anche su identità, interessi, bisogni ed esperienze in ambito sessuale.

Il movimento è ricco e ampio, e pone l’accento su tante tematiche come il sex work, le identità di genere, la pornografia etica, il diritto a non desiderare il sesso, e molto altro, sempre in un’ottica di positività, accettazione e salute sessuale.

In conclusione, quello che mi auguro è che tematiche di questo tipo vengano sempre più diffuse a beneficio di tutta la società. Le nuove generazioni, sebbene siano tanto criticate dai boomers, i quali le definiscono come manchevoli di valori, sono in realtà quelle che si stanno maggiormente aprendo ad un atteggiamento positivo nei confronti della sessualità e di tutte le diversità.

Per approfondire:

 www.fissonline.it
“Club Godo” di Jüne Plã
“Come As You Are” di Emily Nagoski
“Il piacere Digitale” di Michele Spaccarotella

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