Questa storia si ispira a questa di Claire Woodruff.

Roberto spinse a fatica la pesante porta del negozio di specialità, stringeva con un braccio un cartone con due bottiglie di vino incastonate e con l’altro teneva una voluminosa busta di plastica in cui si intravedevano confezioni di cracker speciali, barattolini di olive, incarti di formaggi e il profilo inconfondibile di un salame.

Qualcuno afferrò la porta per rendergli l’impresa più semplice e, prima ancora di vederla in faccia, Roberto riconobbe la silhouette familiare e il suo cuore ebbe un guizzo a metà tra l’eccitazione e lo sconforto.

“Barbara!”

“Ciao Bobo.”

Bastò quel ‘Bobo’ a ridargli fiducia nella vita. Dopo tutto, lei aveva scelto il vecchio nomignolo, quello con cui era noto agli amici, quello informale e affettuoso.

“Ciao.” Disse ‘Bobo’ cercando di recuperare un po’ di contegno. “Come stai?”

“Bene, bene!” Rispose lei. Alzò gli occhiali da sole per scoprire gli occhi grandi da cerbiatta e Roberto sentì un’altra fitta al cuore. Era cambiata? Era sempre uguale? Era forse un po’ dimagrita, ma era sempre lei, con gli occhi grandi e quel piccolo cruccio tra le sopracciglia che le dava sempre un’espressione un po’ concentrata.

Barbara fissò gli occhiali sulla chioma riccia a mo’ di cerchietto e fece cadere lo sguardo sulle buste.

“Hai ospiti?”

Era una domanda di circostanza e si pentì immediatamente di averla fatta, non voleva certo dare l’impressione di interessarsi ancora alla sua vita, dopo tutti i mesi che erano passati dall’ultima volta che si erano visti.

“No, no!” Si affrettò a dire lui. E a Barbara fece piacere quella prontezza.

“Avevo voglia di viziarmi un po’.”

Lei si avvicinò un pochino a osservare le etichette del vino e lui si trovò a ritrarsi involontariamente.

“Prosecco, mmmh, buono!” 

Ma poi perché si erano lasciati?, si domandava lui nel frattempo. Non c’era stato un evento scatenante, era stato più un insieme di circostanze negative, lavori sempre più impegnativi, sempre meno serate passate insieme, sempre meno mercatini delle pulci la domenica mattina, sempre meno colazioni a letto. Lui si era invaghito di una nuova collega, lei aveva avuto una ricaduta con l’ex. E così era finita, senza nemmeno sapere quando di preciso. 

Il silenzio stava diventando imbarazzante e lei si riscosse.

“È stato un piacere rivederti, adesso devo…” Disse Barbara, indicando la porta del negozio.

“Certo!” Lui fece un passo di lato per lasciarle spazio 

“Scusa se non ti restituisco il favore” Disse accennando alle proprie mani impegnate.

“Figurati!” Disse lei e tirò a sé la pesante porta di vetro.

“Magari ci si vede una di queste sere.” Propose lui e si pentì nel momento esatto in cui le parole gli scivolarono fuori dalle labbra.

Lei si congelò a metà della soglia e si girò verso di lui.

“Non so, Bobo, forse non è il caso.”

Un sorriso imbarazzato che non le raggiunse gli occhi bassi e in un attimo era sparita.

Lui rimase come un pallone sgonfiato fuori dal negozio, con gli acquisti a penzoloni dal suo corpo e lo sguardo fisso sul sedere di lei.

Si ricordò di quando andavano ai mercatini della domenica mattina e di come lui ogni volta restava indietro con la scusa di guardare qualcosa in una bancarella, ma in realtà voleva solo vederla camminare. Camminare, una cosa così banale che però a lei riusciva benissimo. Il suo sedere ampio e dritto seguiva come un’onda i suoi movimenti, animava quei vestitini estivi leggerissimi che metteva e capitava spesso che, quando non indossava le mutande, il vestito andasse a infilarsi proprio tra le due natiche e a marcare ancora di più le sue rotondità. Lei lo tirava via senza pensarci troppo, senza sapere che il suo sguardo era incollato là. Fu un piccolo ricordo che lo fece sorridere. Oggi il suo sedere sembrava meno allegro, meno tonico, forse davvero era dimagrita o forse semplicemente era il completo da ufficio che non faceva lo stesso effetto del vestitino estivo senza slip. 

Roberto finalmente si diresse verso la sua auto, un modello nuovo che aveva comprato dopo la fine della loro storia. Lasciò cadere gli acquisti sul sedile posteriore, si infilò alla guida e con un gesto di frustrazione sbatté le mani sul volante: ecco che l’aperitivo + filmone con lenta ubriacatura che doveva concludere una settimana davvero stressante e che agognava da, appunto, una settimana, era rovinato per sempre. Tanto valeva ordinare un hamburger. 

Barbara intanto si aggirava nel negozio, ugualmente infastidita. Era entrata giusto per comprare due cose, quel negozio era davvero costoso, ma adesso il paragone con l’aperitivo succulento di Roberto era inevitabile e la cena a base di yogurt e frutta che si era immaginata per concludere una settimana stressante e lasciarsi leggera per il fine settimana appariva inevitabilmente triste. Lui e il suo Prosecco!

Vagando per il negozio, capitò di fronte al reparto enoteca. Per un attimo fu tentata di acquistare una bottiglia, ma poi ci ripensò: sicuro non avrebbe resistito alla tentazione di chiamarlo con un po’ di alcol in corpo. Prese quindi due pesche mature e un ananas, la sua confezione preferita di yogurt greco e si avviò alla cassa, toccando inconsapevolmente il bracciale che si era regalata dopo la loro separazione.

Quando l’hamburger arrivò, Roberto si accorse che tra i due panini mancava la carne, era il colmo. Lanciò la busta con la sua ‘cena’ sul tavolo di cucina, afferrò le chiavi della macchina e si diresse verso un pub di zona, birra mediocre e sport di sottofondo, ma almeno l’hamburger lo servivano completo. 

E mentre sorseggiava la prima birra, non riusciva a togliersi Barbara dalla testa. Gli tornò in mente il loro primo appuntamento: erano andati a vedere un film di scarso livello, una scusa qualsiasi per trovarsi insieme in una stanza buia. La sua mano gli toccò la coscia 

“Oh scusami! Cercavo i popcorn.” Aveva detto con sincerità.

“E invece hai trovato me.” Aveva ribattuto lui. Non c’era stato bisogno di altro. Lei l’aveva mandato in estasi lì, nella stanza buia (e poco affollata) del cinema, poi lui l’aveva portata a casa con sé, ed era stato il suo turno di mandarla in estasi. E per tutto il tempo della loro relazione “hai/ho voglia di popcorn” era stata la loro frase in codice, quella che a volte si scambiavano anche davanti agli altri per dirsi che avevano voglia di fare l’amore.

Due birre e un’ora dopo, Roberto tornò a casa. Girò la chiave nella toppa e per un attimo sperò di trovare Barbara rannicchiata sul divano di velluto che lo aveva convinto a comprare a uno di quei tanti mercatini dove si aggirava la domenica mattina senza mutande. Ma solo buio e silenzio lo accolsero.

Dall’altra parte della città, Barbara rigirava il cucchiaio nella ciotola dove pezzi sgraziati di ananas e pesca annacquavano uno yogurt che, nel profilo dell’influencer sembrava sano e appetitoso, mentre nel suo piatto sembrava solo triste. Il pasto triste di una donna triste che lavorava troppo e doveva stare attenta alla linea.

Una donna che avrebbe preferito di gran lunga nutrire il proprio corpo burroso di olive piccanti e crostini artigianali, formaggi morbidi e chicchi d’uva, patatine tagliate a mano e fettine di salame nostrano forniti dalle mani forti di un uomo che a letto sapeva il fatto suo.

Roberto sedeva sul divano di velluto come se si trovasse sulla poltrona del dentista. Prese il telefono che si illuminò tra le sue mani.

“La chiamo, solo per dirle che è stato un piacere vederla.” Ma subito appoggiò il dispositivo sul tavolino basso davanti a sé, con lo schermo a faccia in giù. 

“Non posso. Assolutamente no. Per sentirmi dire cosa poi? Che esce con qualcun’altro? Che non ne vuole più sapere?” 

Quel ‘forse non è il caso’ con cui lei aveva risposto alla proposta di vedersi, proposta che in realtà, diversamente da ora, nel momento in cui l’aveva fatta non voleva assolutamente concretizzare, continuava a risuonargli nelle orecchie.

Barbara, dall’altro capo della città, era persa nei ricordi. Ricordava quelle mattine assolate, quando dopo la colazione a letto, dopo il sesso, lui la fermava, prima di uscire di casa e le chiedeva di togliersi le mutande. E fingeva di non capire quando, una volta arrivati al mercatino, Bobo le chiedeva di andare avanti “guardo un po’ qua e poi ti raggiungo, ma tu vai, vai!” e sentiva il suo sguardo incollato sul proprio sedere e lo faceva ondeggiare più del solito, di là e di qua, mentre il vestito le si infilava tra le natiche.

Come sono basici gli uomini. 

Eppure lei faceva lo stesso. Quando lui tornava dagli allenamenti, con la maglietta zuppa di sudore, aveva un odore di maschio che persino il profumo del deodorante, esaltato dal suo corpo caldo, non riusciva a nascondere. E allora lei lo intrappolava in conversazioni inutili, solo per aspirare quell’odore primordiale che le metteva un gran voglia di togliergli la maglietta e appiccicarsi al suo corpo forte, di farsi stringere da quelle mani grandi.

Barbara scosse la testa, doveva cacciare Prosecchi e odori maschi dalla mente, niente di buono ne poteva nascere. Un po’ di tv o la sua serie preferita l’avrebbero placata. Si tolse il severo completo da ufficio e si infilò una camicia da notte morbida. Si sciolse i capelli e si fissò allo specchio. Sollevò la camicia e si osservò il sedere avvolto negli slip di seta: era decisamente più magro e tonico di come Roberto se lo ricordava (se lo ricordava), chissà se lui avrebbe approvato la trasformazione.

Niente, nemmeno la sua serie preferita riusciva a distoglierla da quella voglia mista a fame che si annidava dentro di lei. 

Roberto andò a prendere un paio di guanti che, mesi prima, Barbara aveva dimenticato a casa sua. Li aveva messi via con stizza e aveva evitato di buttarli solo perché avevano un aspetto costoso. Adesso si domandò se fossero abbastanza preziosi da giustificare una telefonata per ‘restituirli’. “Posso sempre dire che rivederla mi ha fatto tornare in mente i guanti.”

Barbara aprì un cassetto dove aveva raccolto le poche cose che Bobo aveva lasciato a casa sua: conteneva una maglietta che mai gli avrebbe ridato perché le stava troppo bene, uno spazzolino da denti che si affrettò a buttare pensando alla figura barbina che avrebbe fatto se lui avesse scoperto che lei conservava ancora il suo spazzolino, e un paio di calzini. Biglietti di concerti e regali che lui le aveva fatto. Prese i calzini e li soppesò con lo sguardo: finalmente l’idea di chiamarlo per restituirgli un paio di calzini le sembrò troppo assurda.

Dall’altra parte della città, Roberto osservò i guanti: erano di un bellissimo celeste, di pelle fuori e con interno in lana. 

Li portò al viso per cercare una traccia di odore di Barbara, ma i guanti sapevano solo di pelle.

“Sono belli. Io li vorrei indietro.” Cercò di convincersi mentre afferrava il telefono. 

Poi, con un gesto di frustrazione appoggiò guanti e telefono sul divano 

“Non renderti ridicolo!” Si disse. 

Barbara fissava la televisione senza ascoltarla, le braccia incrociate, l’espressione corrucciata, il telefono a distanza di sicurezza. 

“Posso sempre mandargli un messaggio per dirgli che mi ha fatto piacere rivederlo…”

Barbara afferrò il telefono e iniziò a scrivere. 

Dall’altro lato della città, Roberto fissava il suo nome e notò che lei aveva iniziato a scrivere. Fu quello il segnale che gli fece rompere gli indugi: spinse il tasto della cornetta, mentre il cuore gli impazziva in petto.

Barbara vide il nome di Roberto apparire sul suo telefono e sobbalzò sulla sedia. 

“Bobo!” Rispose con malcelato entusiasmo. Lui suonò decisamente imbarazzato quando iniziò a parlare

“Ciao Barbara, scusa se ti chiamo a quest’ora ma, vedendoti, mi è tornato in mente che tempo fa ho trovato un paio di guanti tuoi… sono azzurri, di pelle.” Per un attimo il terrore si impossessò di lui, e se non fossero stati di Barbara? Che figura ci avrebbe fatto?

Ma il suo timore durò solo un attimo perché lei rispose subito:

“Ecco dov’erano finiti! Li ho cercati tanto!!” In realtà pensava di averli persi in metropolitana e ne aveva già comprato un altro paio. Lasciando da parte il fatto che era estate e di tutto aveva bisogno tranne che di un paio di guanti.

“Te li posso portare…”

“No!” Lo interruppe lei e Roberto sentì il cuore scivolare un po’ più in giù nel petto.

“È che non sono a casa.” 

“Ah, sei fuori? Da sola?” Si pentì un’altra volta delle sue parole, se era sola o meno non lo doveva riguardare.

Barbara rispose in fretta

“Sono nella tua zona, posso passare io diciamo tra una ventina di minuti?”

Roberto finalmente si rilassò.

“Va benissimo per me. Mi aiuti anche con il Prosecco?”

Lei fece una risatina nervosa.

“Lasciami un paio di olive piccanti.”
“Lo so quello che ti piace.” Rispose lui e nel suo tono c’era un sottinteso che a lei non sfuggì.

Si salutarono in fretta, entrambi sapevano che se la conversazione fosse durata più a lungo, sarebbero aumentate le possibilità di rovinare tutto.

Passarono quindici minuti scarsi e Barbara bussò alla porta di Roberto. Indossava una camicia di seta e una gonna di cotone e un paio di scarpe basse, i lunghi ricci sciolti sulle spalle. 

“Benvenuta.” L’accolse lui. Lei sorrise e varcò la soglia guardandosi intorno senza celare la curiosità.

“Non è cambiato molto.” Disse con un largo sorriso, senza nascondere la soddisfazione, di fondo aveva contribuito a fare molte scelte. Si chinò per sfilarsi le scarpe e Roberto intravide un reggiseno di pizzo celeste e i suoi seni morbidi.

Un guizzo improvviso nei suoi pantaloni rispose a quella visione.

“Vieni, accomodati e serviti.” E con un gesto le indicò il tavolino basso su cui troneggiava un grande piatto dove aveva disposto con cura tutti gli acquisti del pomeriggio. Le versò un bicchiere di Prosecco, lei si accoccolò sul divano a distanza di sicurezza ma in una posa rilassata, con le gambe nude ripiegate sotto il busto e un braccio allungato sullo schienale, verso di lui. 

Parlarono piacevolmente, evitando con cura gli argomenti che avrebbero potuto essere fonte di tensione. Poi:

“Tieni, assaggia questa.” Le disse lui porgendole uno stecchino con un’oliva infilzata, lei si sporse in avanti e nel farlo urtò la sua mano e l’oliva rotolò sulla camicia di seta. 

“Oh no! Questa è la mia camicia preferita! La devo lavare subito, scusami.”

Si alzò veloce e si diresse verso il bagno. Lui sentì l’acqua del rubinetto scorrere e l’idea che lei si fosse tolta la camicia non fece nulla per mitigare l’eccitazione che sentiva crescere nei pantaloni. Poi non riuscì più a trattenersi, doveva vederla. Aprì un armadio, ne trasse uno smacchiatore e, così armato, si diresse verso il bagno. Trovò Barbara con la porta aperta mentre a piedi nudi e vestita della sola gonna e del reggiseno di seta azzurra che aveva già intravisto e a lungo spiato oltre il velo della camicetta, cercava di mandare via la macchia. 

Lui si affacciò sulla soglia e studiò la reazione di Barbara.

“Non so se possa servire.” Le disse porgendole lo smacchiatore.

“Grazie.” Disse lei. “No, non serve, questo dovrebbe bastare. Scusami, penserai che sono pazza, ma davvero è la mia camicia preferita.”

Non sembrava imbarazzata all’idea di essere in reggiseno davanti a lui, del resto, perché avrebbe dovuto esserlo? Quante volte erano stati completamente nudi insieme? 

“Non penso proprio niente.” Disse lui. E, lentamente, si accostò a lei. Si trovarono entrambi di fronte allo specchio. Lui le scostò i capelli dal collo e appoggiò un bacio leggero sulla parte di pelle che aveva scoperto.

“Bobo…” Mormorò lei con un tono un po’ ammonitore. Ma allungò la testa all’indietro per offrigli un più facile accesso. Allora lui non si trattenne più e strinse tra le sue mani grandi e calde i suoi seni morbidi e rotondi. Infilò le dita sotto il pizzo e iniziò a massaggiare circolarmente i suoi capezzoli rosei e turgidi mentre lei si abbandonava di più e iniziava a respirare pesantemente.

Roberto spinse la propria erezione contro il sedere di Barbara, era completamente duro e lei era così morbida sotto la seta della gonna. Poi, lui ebbe come un’intuizione. Lasciò andare i seni e fece scivolare le mani lungo il suo corpo, i fianchi, il ventre vellutato, la seta della gonna, iniziò lentamente a sollevarla, centimetro dopo centimetro, raccogliendola nella mani e anche se non poteva vederlo, e anche se ancora non l’aveva toccata, capì subito, da come lei gemette al contatto con i suoi jeans, che non indossava le mutande. 

Allora fece scivolare le mani ruvide sulla sua vulva e aprì gli occhi: lei aveva il capo riverso sulla sua spalla e gli occhi chiusi in un’estasi di piacere.

“Quanto mi sei mancata!” Mormorò mentre le sue dita lavoravano il clitoride, si allungavano verso la sua intimità umida e setosa.

“Ho… voglia… di… popcorn…” Disse lei con voce rotta. Allungò una mano verso i suoi jeans, più che altro per rendere chiare le sue intenzioni. Lui si spogliò in fretta e finalmente fu dentro di lei. Barbara si appoggiò al lavandino e lui iniziò il suo andirivieni, dentro-fuori, dentro-fuori, dentro-fuori, mentre si fissavano, come trasfigurati, nello specchio. Poi i colpi aumentarono d’intensità e non riuscirono a guardarsi più, lei si abbandonò di nuovo su di lui, Roberto affondò il viso tra il suo collo e i suoi capelli. Barbara strinse più forte i bordi del lavandino, Roberto le afferrò i fianchi e la spinse con forza verso di sé per gli ultimi colpi, poi spostò veloce una mano ruvida sul suo clitoride e la sentì irrigidirsi nella tensione del piacere prima di scoppiare in un orgasmo che innescò anche il suo.

Ancora palpitanti, scivolarono lentamente a terra, lui con i jeans e i boxer abbassati alle caviglie, ma ancora vestito, lei con la sola gonna addosso e i seni fuori dal reggiseno. Stettero qualche istante così, poi Roberto armeggiò per togliersi i jeans, si alzò a fatica in ginocchio, ancora più a fatica e dopo qualche tentativo andato a vuoto, la prese tra le braccia. Si alzò barcollando:

“Mesi e mesi di palestra.” Le sussurrò all’orecchio. Sempre tenendola in braccio la portò in camera e la lasciò cadere sul letto.

“Con ottimi risultati.” Disse Barbara attirandolo a sé. Era felice di essere di nuovo in quella casa, in quella stanza e voleva passare la notte a fare l’amore. Altro che yogurt e frutta!