Tiene il bastoncino bianco tra le dita mentre scarta con perizia la plastica. Le dita si muovono veloci, il lecca lecca rotondo viene inghiottito dalle labbra carnose e per un attimo lei rimane immobile così, con lo stecchino che spunta incongruo dal suo viso e le guance rigonfie di zucchero.

Guarda fisso davanti a sé, incantata, mentre tamburella con le dita sul volante della macchina. Appoggia un gomito sul finestrino e lancia un’occhiata annoiata verso il marciapiede. È allora che mi vede e io mi affretto a sollevare il giornale, mentre sento le guance avvampare di vergogna, non so bene perché.
Lascio passare qualche istante e lo riabbasso leggermente.

Lei è ancora lì, adesso ha il lecca lecca in mano e lo sta avvicinando lentamente alle labbra.

Tira fuori la piccola lingua rosea e percorre la circonferenza della pallina di zucchero. La vista della sua lingua mi sembra infinitamente impudica e sento il mio sesso gonfiarsi dentro i pantaloni.

Ripiego il giornale e lo abbasso all’altezza dei fianchi, tiro fuori il cellulare e lo porto all’orecchio per darmi un contegno. Ma i miei occhi non si staccano da Lolita, così ho deciso di chiamarla.

Adesso la sua lingua disegna piccole figure astratte sulla superficie rosea e zuccherina, mentre con le dita grassocce tormenta una ciocca dei capelli ricci e neri che le cadono disordinati sul viso pieno. Continua a guardare davanti a sé, dove sono parcheggiate altre macchine, ma non ci giurerei più che è così distratta adesso. Muove la pallina sul bordo del labbro inferiore, scoprendo i denti e mi sembra quasi di sentire la piccola riserva di saliva formarsi in basso, vicino al labbro.

Poi fa scomparire il lecca lecca in bocca, come all’inizio, ma questa volta lo ritira subito fuori e poi lo rituffa dentro e lo ritira fuori, lo avvolge con le labbra e con la lingua. Il mio respiro accelera, finché lei finalmente si ferma e passa veloce il bastoncino nell’altra mano mentre tira fuori qualcosa dalla tasca (lo capisco da come solleva la spalla) e si mette e fissarlo. Il cellulare sicuro.

Osservo il suo profilo pieno, il naso a patata, le labbra carnose che si imbronciano un po’ mentre si concentra a leggere lo schermo. Una piccola ruga che si forma sulla sua fronte. Vorrei toccarmi mentre la guardo, ma non oso. Il marciapiede che ci separa è trafficato di gente anche se nessuno fa caso a me, appoggiato al portone di un palazzo, leggermente rientrato.

Finisce di guardare e torna al suo lecca lecca, questa volta distratta sul serio: quello che ha visto deve averla colpita perché abbassa più volte lo sguardo in grembo e conserva l’espressione perplessa e corrucciata. Poi all’improvviso alza due occhi limpidi verso di me e i nostri sguardi si incrociano. Un brivido mi attraversa come un fulmine. Ha gli occhi grandi, incorniciati da sopracciglia scure che le danno un’aria da cerbiatta.

Forse mi legge nel pensiero, Lolita, perché la prima cosa che fa, dopo avermi guardato, è infilare un paio di occhiali da sole, assolutamente superflui nella luce chiara della sera.  E la mia fantasia ringrazia.

Adesso che è protetta dalle lenti sembra sentirsi più libera. Riprende a stuzzicare il lecca lecca, questa volta separando bene le labbra e portando i denti a contatto con la sostanza caramellosa che si sgretola piano piano sotto i suoi attacchi. E io intuisco la lingua spingere dietro i denti, spuntare veloce, sento la superficie leggermente gommosa della caramella diventare sempre più dura e fragile.

Adesso si limita a ruotare il suo lecca lecca tra le labbra e mi sembra quasi di sentire il sapore dello zucchero mescolarsi a quello di lei, che di sicuro sa di panna e fragola, succosa come una mela matura, morbida nella sua pienezza.

Sento il sesso duro appoggiato contro la tela dei pantaloni, vorrei sfregarmi contro qualcosa ma, di nuovo, non oso, pregusto già il momento in cui entrerò in camera e chiuderò la chiave dietro di me e mi abbasserò i pantaloni e mi farò venire ripensando alle sue labbra turgide, al suo seno che tende le costine della canottiera di cotone.

Lolita ha quasi finito col suo gioco, la pallina del lecca lecca appare irrimediabilmente diminuita, il mio piacere segreto è al capolinea. Con un gesto inaspettato fa scattare la serratura dei denti bianchi intorno al bastoncino e con un colpo secco trascina in bocca quello che era rimasto del miscuglio di zucchero e sciroppo. E coloranti.

Stringe il bastoncino tra i denti per tirarne fuori tutto il succo, lo so perché anche a me piacciono i lecca lecca.

Una donna, forse la madre, sbuca dal nulla e si infila in macchina. Si dicono qualcosa e lei si china in avanti per mettere in moto (il suo seno quasi tocca il volante), il bastoncino ancora tra i denti. Con gesti noncuranti si assicura la cintura di sicurezza e mentre allunga una mano dietro il poggiatesta del passeggero per fare retromarcia e uscire dal parcheggio con una manovra da manuale, si gira un attimo verso di me.

È scherno quello che intravedo dietro le lenti scure?

Si toglie il bastoncino di bocca e lo getta a terra, a due passi da me, arretra un po’ con la macchina, ingrana la marcia e con un ultimo colpo all’acceleratore si insinua nel traffico.

Mi annoto mentalmente il numero della sua targa, così, giusto per fare qualcosa. Mi guardo intorno, nessuno bada a me. Allora mi chino veloce a raccogliere lo stecchino e lo porto alle narici: sa di panna e fragola.
Sa di Lolita.

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