Giorgio gira la chiave nella toppa e si sofferma un attimo prima di aprire la porta.

L’appartamento spoglio (‘da scapolo’ avrebbe detto sua nonna) che abita è inondato dalla luce pallida di una serata di tarda estate, di quelle con l’aria afosa e il sudore che ti si appiccica addosso.

Lancia la giacca e lo zaino sul divano e si dirige verso il frigorifero. Lo apre e sosta un attimo davanti allo sportello, godendo l’improvviso sollievo che l’aria fresca e asciutta gli procura. Si allenta il nodo della cravatta, prende una birra e la apre con la chiave che ha ancora in mano.

Si lascia cadere sul divano, prende il telecomando e inizia a passare da un canale all’altro, fissando lo schermo senza vederlo. Si alza solo per prendere la seconda birra e poi la terza, mentre cala il buio e i contorni della stanza mutano forma intorno a lui.

Quando finalmente decide di andare in bagno è ormai notte e sente una sensazione in fondo allo stomaco che non sa definire bene. Forse è fame, mascherata dai litri di birra che si è bevuto, forse è solo la gastrite che alza la testa, battagliera. Forse è qualcos’altro.

Quando torna al divano, non senza essere passato prima dal frigo, Giorgio tira fuori il telefono e scorre lentamete la rubrica fino ad arrivare al nome desiderato.

‘Ciao. Puoi venire adesso?’

Chiude la comunicazione e apre la quarta birra con il solito accendino.

Non passa molto tempo, forse venti minuti, forse mezz’ora, quando ode un bussare leggero alla porta. Si alza, malfermo sulle gambe e apre con un gesto scomposto che spalanca la porta. Lei è sulla soglia e niente la distingue dalle donne che lavorano nel suo studio, pensa lui.

Indossa una semplice maglietta di cotone bianca sopra una gonna a portafoglio e un paio di sandali con la zeppa. Ha i lunghi capelli, lisci e neri, raccolti in una coda lucida. Un’idea di ordine e pulizia emana dalla sua figura.
Lui si scosta per farla passare e ancora una volta il suo gesto è scomposto dall’ebbrezza. È allora che nota la capiente borsa di pelle morbida che le pende da un braccio. Fa un gesto come per dire ‘accomodati’ e lei si dirige verso la camera, non è la prima volta che entra in quella casa.

Giorgio torna  in bagno e si sciacqua più volte la faccia con l’acqua fredda nel tentativo di recuperare in parte la padronanza di sé ma, quando si tira su di scatto, deve aggrapparsi al lavandino per recuperare l’equilibrio.

Torna in sala e si lascia cadere sul divano, spegne la televisione e accende la lampada al suo posto. Poi si abbandona sullo schienale, incapace di programmare altre azioni.

Passano alcuni minuti interminabili in cui Giorgio, la testa reclinata, gli occhi chiusi, si sente scivolare pericolosamente verso un sonno confuso, quando un rumore lo riporta alla realtà. Faticosamente apre gli occhi, e la visione di lei gli fa sbattere più volte le palpebre.

È apparsa sulla soglia della camera inguainata in una tuta di lattice nera che le lascia nudi solo le mani e il viso; su questo indossa una maschera di pelle che la copre a metà terminando in un paio di orecchie da gatto. Impugna una corda in una mano e, nell’altra, un oggetto che Giorgio non è in grado di identificare.

Avanza a passi sinuosi e solo adesso lui nota gli stivali lucidi, allacciati fino al ginocchio, che danno alla sua andatura un tocco ancora più felino.

‘Oggi facciamo che io ero Catwoman e tu eri tutti gli uomini di cui mi volevo vendicare.’

Si è anche truccata nel frattempo, perché un rossetto rosso fa risaltare le sue labbra che si aprono in un sorriso beffardo. Lui si lascia sfuggire un sospiro mentre lei si avvicina ancora. E adesso riesce a sentire il suo profumo. Adesso è vicinissima e si china su di lui, gli sfiora le labbra con le sue, senza toccarle, come se volesse baciarlo ma poi ci ripensasse.

Lui trattiene il fiato, perché la vorrebbe toccare quella bocca di fragola, ma sa che il gioco è nelle sue mani. Il gioco è sempre nelle sue mani.

Lei gli prende un polso e gli allaccia quello che sembra un braccialetto morbido mentre lui nota adesso una lunga cerniera sulla tuta che parte all’altezza del collo, percorre tutto il torace  e le sparisce tra le gambe. Lei gli circonda anche l’altro polso e il suo corpo è sempre vicinissimo a quello di lui ma mai abbastanza da toccarlo.

Poi lega i nastri di uno dei ‘braccialetti’, che ora lui capisce essere un paio di manette, a un’estremità della corda. Fa passare la corda dietro il divano e lega i nastri dell’altro polso all’altra estremità della corda. In questo modo lui è legato al divano, con le braccia spalancate e anche se tutto è estremamente morbido, il camoscio delle manette, i cuscini dietro di lui, persino la corda, all’apparenza, quando prova a muoversi si rende conto che i nodi sono ben stretti e che ha un gioco di pochi centimetri. Si sente un po’ ridicolo, seduto di fronte a lei, con le braccia allargate in quell’abbraccio esagerato e immobile, ma è una sensazione che prova  sempre all’inizio dei loro giochi e sa che passerà in fretta. Lei gli sorride, si avvicina sorniona e, con gesti veloci, gli lecca tutta la faccia. Lui sente il sesso diventare duro, mentre l’aria appiccicosa della sera è per un attimo più fresca a contatto con la sua pelle bagnata di saliva.

Lei sorride e con pochi gesti, rapidi e esperti, gli slaccia cintura e cerniera dei pantaloni. Poi, quasi con violenza e una forza che nessuno indovinerebbe, glieli abbassa a metà coscia, denudando la sua erezione. Sorride ancora, si rialza in tutta la statura che gli stivali di pelle le conferiscono  e si gira, offrendogli la vista del suo meraviglioso sedere tonico (oh, come vorrebbe affondare le mani in quel sedere, pensa lui, se solo non fosse legato!).

Esce, per tornare quasi subito. Questa volta in mano ha un nastro adesivo di quelli spessi e un frustino nero, composto di piccolissime striscioline di pelle.

Ancora una volta si fa vicinissima (il suo membro freme come se lei emanasse onde magnetiche), con le lunghe unghie scarlatte stuzzica il nastro adesivo, ne srotola un pezzo e lo stacca con i denti. Sarà la tuta nera, saranno le orecchie sulla testa a suggestionarlo, ma gli sembra che ogni suo gesto abbia la morbidezza scattante di un gatto.

Lei appoggia lo scotch sulle labbra di lui, e la presa è incredibilmente forte nonostante la pelle sudata.

‘Là! Così non sentiremo i tuoi commenti.’ Ridacchia. Si allontana come un pittore che si allontani dal suo quadro per vederne l’effetto da una certa distanza.

‘Se adesso ti chiudessi anche il naso, moriresti soffocato.’ Ride ancora e lui, anche se sa perfettamente che è tutto un gioco, cerca di portare automaticamente le mani alla bocca. Ma le manette si confermano resistenti.

Lei ride ancora.

Si avvicina a lui e lo monta. Si mette a cavalcioni sulle sue gambe, il suo sesso, coperto, a un centimetro di distanza da quello nudo di lui. Forse meno. Per un attimo lo sfiora, forse per sbaglio e lui sente una fitta di piacere che gli strappa un mugolio, soffocato dal nastro adesivo.

Lei gli allenta ancora di più la cravatta e gliela sfila dalla testa.

‘Questa non serve più, caro il mio Bruce Wayne.’ Lentamente gli slaccia la camicia e quando arriva all’ultimo bottone le sue mani sono, oh, così vicine al sesso di lui. Oh se solo lei lo sfiorasse. Oh se solo lui avesse le mani libere per prenderla per i fianchi e costringere la sua erezione dentro di lei. Ma le sue mani non sono libere. Sono legate.

Lei prende il frustino e lo passa sul suo torace. I muscoli di lui guizzano sotto la pelle a quel tocco sensuale. Le mille striscioline lo solleticano e allo stesso tempo lo preoccupano (ne conosce il morso, non è la prima volta che lei lo porta con sé) e il suo sesso è così innocentemente esposto e pericolosamente vicino al cuoio, presenza incongrua tra di loro.

E dopo un attimo, infatti, lei avvolge il membro con le listarelle del frustino. Lui muove il bacino, è preoccupato e incredibilmente eccitato. Il cuoio gli regala una carezza confusa, dove finisce una listarella comincia l’altra, il tocco è incredibilmente leggero e asciutto. Il suo pene si muove in maniera incontrollata, mentre lui si abbandona all’indietro sullo schienale.

‘Ok, adesso basta, adesso tocca a noi.’ Dice lei abbandonandolo e tornando in piedi. Lui drizza immediatamente la testa. Deluso.

‘Ho un sorpresa per te.’ Sussurra lei. Si allontana di qualche passo ancora e si piazza a gambe larghe davanti a lui, come in una posa di sfida.

‘Sei pronto?’ Lui annuisce, lasciandosi sfuggire un nuovo mugolio.

Lentissima lei solleva una mano verso la cerniera e la inizia a far scorrere verso il basso. La tuta si apre rivelando il suo corpo nudo, si intravedono i seni, ma non abbastanza perché il lattice rimane fermo sulla pelle.

Solo ora lui si rende conto di quanto caldo debba soffrire con quel costume, ma è un pensiero che dura pochi istanti. Lei continua a far scorrere la cerniera, ecco il ventre d’avorio, la piccola sporgenza poco prima del pube, e finalmente il suo sesso, piccolo e curato come se lo ricordava, un triangolino nero e soffice. Lei continua a far scorrere la cerniera, oltre il pube, tra le gambe, chinandosi un po’ in avanti. Poi porta di nuovo la mano verso l’alto e con un gesto che lui all’inizio non capisce, comincia a far scorrere un’altra cerniera, che questa volta richiude i due lembi della tuta. Ed ecco che la sua figura si ricompone, i seni che si erano un poco allargati tornano in posizione, la sua pelle candida sparisce, inghiottita dal nero lucido del lattice, ma quando arriva di nuovo all’altezza del sesso si arresta. Lui stacca gli occhi dal corpo per guardarla in viso.

‘Te l’avevo detto che toccava a noi.’

Dice, e lui deglutisce inalando l’odore di plastica del nastro mentre osserva la visione di lei, completamente coperta di lattice nero, un paio di orecchie sulla testa e solo la bocca e, beh…, quella altre labbra esposte al suo sguardo.

Il respiro di Giorgio si fa affannoso, mentre lei inizia a stuzzicarsi.

All’inizio lui riesce a seguire la danza delle dita che si muovono circolari sulla punta del suo sesso, lo allargano, scorrono verso il basso. Ma poi tutto si fa più confuso, lei inizia a gemere e a muovere freneticamente la mano sempre più velocemente, senza staccarla. Giorgio mugola e si agita, questa volta davvero vorrebbe unirsi a lei, vorrebbe essere lui a provocarle quel piacere, e maledice se stesso e la vita, che è così complicata. E lei geme sempre più forte e quasi grida nel momento dell’orgasmo e Giorgio pensa che potrebbe venire così, senza la minima sollecitazione. Ma il suo desiderio rimane crudelmente incompiuto e continua a serpeggiargli nel corpo mezzo immobilizzato.

Lei si inginocchia bilanciandosi sui tacchi e rimane così a lungo, ansimante. Poi si alza e sparisce in camera. Ne esce pochi minuti dopo: indossa di nuvo la maglietta bianca e la gonna, ma la sua pelle è arrossata e sudata e i suoi capelli lisci sono scomposti.

Si avvicina a lui e ci mette un po’ a slacciare il nodo formato dalla corda e dai nastri delle manette.

‘La prossima volta mi piacerebbe appenderti, così possiamo fare Spiderman e Mary Jane.’ Dice prima di andarsene.

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