Questa storia è cominciata qui

Eccoci al dunque, aveva pensato lei, mentre sollevava avida il coperchio di cartone spesso, dalla superficie setosa e guardava dentro.

Non sapeva cosa aspettarsi, e in effetti non si aspettava niente, ma era rimasta un po’ delusa quando aveva intravisto due strisce di stoffa ordinatamente ripiegate, con degli anelli metallici a un’estremità.

Aveva sollevato lo sguardo su di lui che la scrutava. Ma forse la delusione era apparsa evidente nei suoi occhi perché lui aveva leggermente sorriso e aveva allungato una mano verso la confezione. Aveva preso una delle strisce, era piuttosto lunga e gli anelli di metallo avevano tintinnato con un suono leggero.
La aveva stretta tra due dita, tenendola tesa tra medio, indice e pollice e gliel’aveva strusciata sulla guancia. Era stato allora che lei si era resa conto della morbidezza della stoffa e della squisita fattura della seta che mostrava un delicato gioco di contrasti in superficie.

Si era un po’ pentita, allora, del suo primo disappunto e di averlo mostrato così apertamente, ma troppo tardi ormai, perché già una luce diversa brillava negli occhi di lui. La luce che gli vedeva spesso quando giocavano, il sottile trionfo di chi vede la propria fantasia prendere vita, come una creatura di carne e sangue.

Con gesti ordinati lui aveva appoggiato la confezione sul tavolo, poi l’aveva presa per le mani e le aveva avvicinate, l’una all’altra.  Sempre con quella calma meticolosa aveva sovrapposto i polsi di lei, uno sopra l’altro, e li aveva avvolti, una, due, tre volte con la seta frusciante della fascia. Era avanzata anche una porzione di stoffa che aveva infilato tra gli anelli più volte, in modo da assicurare i suoi polsi in una morsa morbida e irremovibile.

Poi aveva preso la stola e gliel’aveva avvolta intorno ai gomiti, come fanno le principesse, e ne aveva portato i lembi sul davanti, a coprire la fascia che le imprigionava le mani.

Le sue labbra si erano aperte in una piccola ‘Oh’ di stupore, che si era allargata ancora di più quando lui le aveva allungato la borsetta. Le era sfuggita in un primo momento ed era caduta a terra. Si era aperta e tutto il contenuto era schizzato in giro per la stanza. Lui si era chinato a raccogliere gli oggetti, senza fretta, aveva rimesso tutto dentro in bell’ordine e gliel’aveva offerta di nuovo. Lei questa volta aveva fatto uno sforzo ed era riuscita a prenderla tra le mani strettamente serrate tra di loro.

Lui le aveva dato una pacca sul sedere. Senza cattiveria, senza cameratismo. Un piccolo avvertimento, come a dire ‘La prossima volta stai più attenta’. Le aveva infilato un braccio sotto il suo, le aveva sorriso, ‘Andiamo?’ le aveva detto.

Erano usciti per strada e all’inizio era stato piuttosto semplice, escludendo il fatto che camminava con l’atteggiamento di un’educanda dell’Ottocento o una first lady a una cena di gala, e che si preoccupava di tenere la stola a posto per coprire le fasce, rosse, che le avvolgevano i polsi, il resto era abbastanza normale. Nessuno faceva caso alla coppia che camminava allacciata, lei con le mani raccolte in grembo e lui con un braccio infilato sotto il suo.

Ma già al momento di salire sul taxi aveva rischiato di perdere l’equilibrio e lui l’aveva dovuta aiutare a non sbattere la testa, come fanno i poliziotti con le persone arrestate. L’autista le aveva rivolto un’occhiata fugace, probabilmente pensando che fosse troppo ubriaca per stare in piedi.

Lui aveva dato l’indirizzo di un cinema e le aveva rivolto un altro amabile sorriso. ‘Facile’ aveva pensato lei.

Ma, al momento di pagare, si era girato verso di lei ‘Tesoro, ho il portafoglio nella tua borsa’, lei aveva dovuto alzare le mani verso di lui, i movimenti impacciati, la stola che si spostava un po’ e si era sentita arrossire sotto gli occhi della cassiera e contemporaneamente bagnare sotto il vestito che le accarezzava il corpo nudo.

Si erano seduti in ultima fila e lui aveva aspettato a malapena che spegnessero le luci, prima di allungare una mano sulla sua gamba. Sulla musica dei titoli di testa aveva cominciato ad accarezzarle il vestito, facendolo risalire lungo la sua coscia. Lei aveva appoggiato le mani giunte sulla spalliera della poltroncina davanti e aveva allargato le gambe mettendosi più comoda. Lui allora le aveva tirato su tutto il vestito e quando le luci sullo schermo diventavano chiare, lei poteva vedere la sua nudità.

E, ciò nonostante, non faceva nulla per coprirsi, perché quello era il loro gioco, che lui decideva e lei seguiva. E anche perché si sentiva sempre più bagnata. Ed erano stati così per tutto il film, senza che lui la toccasse.

E quando già scorrevano i titoli di coda sullo schermo, lui le aveva riabbassato il vestito e le aveva infilato un braccio sotto i suoi. ‘Vieni’ le aveva detto aiutandola a alzarsi. Un altro taxi e questa volta l’indirizzo era quello di un ristorante. Lei si era sentita fremere.

Era piuttosto tardi e il ristorante non era pieno. Lui aveva scelto un tavolo in un angolo. Il cameriere aveva offerto loro i menu ma quello di lei era caduto malamente sul tavolo quando lei non aveva alzato una mano a prenderlo. Il cameriere si era scusato, confuso.

Lui aveva sorriso. Sadico. Le aveva letto il menù, le aveva consigliato una bistecca con le patatine fritte. Lei aveva accettato. Non avevano parlato mentre aspettavano di essere serviti, lui sorseggiava distratto il suo vino, mentre il bicchiere davanti a lei restava vuoto. Le aveva chiesto, gentile, se volesse del vino, ma lei aveva rifiutato, mentre stringeva le mani in grembo, così vicino al suo sesso che, lo sapeva, adesso era gonfio e pronto.

Poi erano arrivate le pietanze e lui aveva tagliato con cura la sua carne a pezzetti e ne aveva inforcato uno. Sotto gli occhi attoniti del cameriere le aveva imboccato il pezzo di carne succulenta. E mai boccone le era sembrato più delizioso. Poi si era servito della propria pietanza, una tartare fresca di giornata. Ed erano andati avanti così tutta la cena, con lui che un po’ imboccava se stesso, un po’ imboccava lei, senza perdersi un dettaglio delle sue labbra che si aprivano a ricevere la forchetta, del suo collo che si protendeva verso di lui. E ogni tanto allungava una mano a stringere le sue, serrate in grembo.

Non si erano fatti mancare il dessert.

Poi lui aveva chiesto il conto. ‘Adesso voglio godere’ le aveva sussurrato.

E quando aveva dato al terzo tassista (lei ormai aveva imparato ad entrare in macchina con una certa disinvoltura) l’indirizzo di casa, lei si era sentita riempire di anticipazione.

Si era schiacciato contro di lei in ascensore, le aveva tirato su il vestito brutalmente e brutalmente le aveva infilato un dito dentro ‘Senti come sei pronta!’ le aveva detto portando il dito umido dei suoi umori all’altezza delle labbra.

Aveva trafficato con le chiavi, i gesti scomposti da un desiderio ormai incontenibile. L’aveva trascinata per il braccio dentro il suo appartamento. Sempre con quei gesti tremanti e scomposti le aveva sollevato il vestito, come per toglierglielo, ma era rimasto appeso ai suoi polsi legati. Poi l’aveva spinta sulle ginocchia e si era slacciato i pantaloni. Le aveva offerto il suo sesso duro di desiderio e lei lo aveva preso in bocca con avidità e con avidità lo aveva succhiato e mentre sentiva lui avvicinarsi al culmine si era appoggiata le mani serrate in grembo e tanto era bastato per far esplodere il piacere che covava in fondo al suo essere dal momento in cui lui le aveva legato i polsi insieme. Anzi, dal momento in cui le aveva mandato quel messaggio. Era stato un orgasmo lungo, che l’aveva continuata a scuotere quando già lui si era acquietato, forse amplificato dalla posizione scomoda in cui si trovava, appoggiata sulle ginocchia, le mani strette in grembo.

Lui le aveva finalmente sciolto le braccia, e le aveva massaggiato i polsi arrossati.

La confezione con l’altra fascia era ancora sul tavolo e lei aveva sorriso, ripensando che il primo sentimento che aveva provato, dopo aver scartato quel regalo, era stato di delusione.

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