Il primo messaggio era arrivato quando lei era ancora in riunione e non aveva potuto leggerlo. Ma aveva capito che era lui dal brivido che la vibrazione le aveva provocato fin dentro il suo essere.

E infatti, appena quel noioso del Bianchetti aveva finito con la sua interminabile presentazione e lei, insieme a tutti gli altri presenti nella stanza, aveva potuto finalmente guardare lo schermo del telefono senza nascondersi, aveva trovato il suo messaggio: Domani giochiamo.

Se l’era aspettato. Ormai si era creata una certa regolarità nei loro giochi e quando lei iniziava a pensarci voleva dire che era passato abbastanza tempo dall’ultima volta.
E che anche lui aveva iniziato a pensarci. Anzi, che lui ci stava già pensando da qualche giorno e che era lì a definire i dettagli e le regole.

Erano insime da poco meno di un anno e da qualche mese avevano iniziato a ‘giocare’.

Era cominciato per caso. Un pomeriggio in cui stavano facendo l’amore, lui l’aveva legata al letto e, dopo averla soddisfatta, l’aveva lasciata legata per un numero indefinito di ore.

Lei aveva trovato l’episodio estremamente sconcertante e incredibilmente eccitante. E quando era tornato da lei e l’aveva presa senza slegarla, sussurrandole all’orecchio che tutto quello che facevano lo facevano solo per il suo piacere, di lui, e che lei non avrebbe dovuto godere assolutamente, beh, era stato allora che lei aveva goduto più di qualsiasi altra volta, un orgasmo lungo che le aveva squassato le membra stanche, aveva sopito i suoi dolori, appagato anche la fame che aveva cominciato ad annidarsi in fondo al suo stomaco.

Avevano provato anche a cambiare i ruoli, ma lei non era mai abbastanza convinta ed erano ben presto tornati allo schema originario: lui decideva cosa, come, quando. Lei lo seguiva. Il gioco durava poco: una sera, un pomeriggio, una giornata al massimo.

Il più lungo era stato un week end, ma era finito giusto in tempo, prima di sconfinare nel ridicolo o nella noia.

Quando il gioco finiva non c’era bisogno di dirsi niente: era evidente a tutti e due che era finito, non bisognava dichiararlo, e non sentivano il bisogno di parlarne, dopo. Tornavano alle loro vite normali, ai soliti equilibri. Vedevano gli amici, si frequentavano, si separavano per qualche giorno. Non vivevano ancora insieme, ma la decisione era nell’aria. Dormivano spesso a casa l’uno dell’altra. A volte lui partiva per lavoro ed era spesso al ritorno da questi viaggi che giocavano. Era un modo per rincontrarsi, annusarsi come due cani che non si conoscono. O che forse si sono dimenticati.

Questa volta l’assenza era stata più lunga del solito, un’intera settimana, e il gioco prometteva di essere ancora più interessante. Lei cercava di indovinare, ma era difficile, perché lui era fantasioso. Molto.

Il secondo messaggio diceva solo: Indossa una stola stasera, ti porto fuori. Decisamente innocente,  se non fosse stato per quel dettaglio che stasera avrebbero ‘giocato’. E che quindi quel messaggio doveva contenere un sottotesto che lei faceva fatica a cogliere ma che doveva esserci, lì, nascosto da qualche parte. Magari proprio in bella vista, come in quel racconto che aveva letto da ragazzina, dove la lettera rubata era conservata dove tutti la potevano vedere.

Probabilmente stava tutto nel posto in cui l’avrebbe portata.

Lei si era preprata con più cura del solito, lo faceva sempre quando giocavano: si era inventata una scusa per uscire prima dall’ufficio ed era passata a farsi la piega dal parrucchiere.

Quando era tornata a casa, si era infilata sotto la doccia con il suo vibratore preferito e si era fatta venire in fretta. Era un modo per rilasciare un po’ di tensione e allo stesso tempo per entrare nel mood della serata. Si era cosparsa il corpo di olio prima di asciugarsi, in modo che la sua pelle risultasse morbida e leggermente profumata. Non sapeva quanto elegante doveva mettersi, anche se quella parola, ‘stola’, aveva una certa aura di preziosità, faceva pensare agli ermellini delle principesse, una stola è sempre o di pelliccia o di seta. Combinazione ne aveva una di seta appunto, il regalo di un’amica di ritorno dall’India. La aveva abbinata a un semplice vestito a sottoveste nero. Che il nero, si sa, va bene per tutte le occasioni.

Aveva indossato un paio di sandali col tacco e una clutch in tinta con i colori variopinti della stola. E si era ritrovata un po’ a corto di fiato, mentre lo aspettava.

E, visto che lui ancora non arrivava, si era passata un velo di rossetto rosso sulle labbra. Era stato allora che si era accorta che le mani le tremavano. Proprio in quell’istante, il citofono aveva suonato facendola sobbalzare. ‘Merda!’ aveva esclamato osservando lo sbaffo che partiva dal suo labbro superiore. Sapeva bene quanto fosse difficile correggere l’errore senza creare macchie nel fondotinta che aveva steso con tanta cura.

Aveva aperto la porta ed era tornata di fronte allo specchio, a completare il lavoro da certosino che stava facendo con un pezzetto di carta igienica e, quando l’aveva sentito entrare, il cuore le era saltato in petto, come se avesse paura.
Lui era apparso nello specchio dietro di lei, l’aveva abbracciata da dietro e aveva affondato la sua faccia nei suoi capelli, l’aveva baciata sul collo snello. Aveva stretto le mani sulla sua pancia.
‘Ciao’ aveva sussurrato sulla sua pelle. Lei si era abbandonata contro di lui, mentre un po’ della sua tensione evaporava ma i suoi sensi restavano all’erta.

Avevano scambiato poche parole, erano sempre un po’ tesi all’inizio di un nuovo gioco, lei perché non sapeva cosa l’aspettava, lui perché non sapeva se le sarebbe piaciuto. Ed era proprio il fatto che entrambi lo prendessero estremamente sul serio a renderlo così interessante.

Lei poi entrava un po’ nel suo ruolo e si mostrava più timida, più remissiva del solito.

‘Sei pronta?’ le aveva chiesto lui. ‘Sì’ aveva risposto con la voce e gli occhi bassi. ‘Dov’è la stola?’

Lei l’aveva presa dal divano e gliel’aveva mostrata, gli occhi di lui si erano accesi. ‘Benissimo’ aveva sussurrato.

Era rimasto un attimo in silenzio, in piedi di fronte a lei, a scrutarla negli occhi, poi le aveva abbassato le spalline del vestito, aveva fatto un gesto come ad abbracciarla, ma in realtà lei aveva sentito le sue dita armeggiare con la chiusura del reggiseno. L’aveva sganciata e glielo aveva tolto. L’aveva lanciato sul divano e le aveva risollevato le spalline del vestito, che adesso cadeva morbido sui suoi seni dove i capezzoli già si indurivano eccitati.

Di nuvo si era chinato verso di lei, come ad abbracciarla, ma questa volta aveva preso tra le mani la stoffa del vestito e aveva iniziato a sollevarlo, fino a che non aveva raggiunto l’altezza dei suoi fianchi. Le aveva infilato le dita sotto l’elastico degli slip e glieli aveva fatti scorrere giù per le gambe, fino a terra.

Era rimasto un istante più del necessario fermo davanti al suo sesso nudo e caldo, poi si era risollevato e lei aveva fatto un passo fuori dagli slip, che erano rimasti sul pavimento. Lui non li aveva raccolti e nemmeno lei: quando giocavano, limitava le iniziative allo stretto necessario.

Poi si era chinato sul tavolino della televisione e ne aveva preso un pacco nero che lei non aveva ancora notato. Glielo aveva allungato con un sorriso.

Continua…

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